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  • Un’odiosa aggressione figlia di una cultura cattiva e da politiche sbagliate

Un’odiosa aggressione figlia di una cultura cattiva e da politiche sbagliate

Un’odiosa aggressione figlia di una cultura cattiva e da politiche sbagliate

13 Ottobre 2025

I fatti

Venerdì 29 agosto 2025, alle cinque del mattino, in Piazza Nazionale a Napoli, Moustapha C., giovane ivoriano di 18 anni, è stato vittima di una brutale aggressione da parte di una decina di ragazzi italiani. L’attacco, vile e gratuito, gli ha causato ferite al corpo e alla testa, tra cui la perforazione del timpano, come riportato nel referto rilasciato dal Pronto Soccorso dell’Ospedale del Mare. L’aggressione dura una manciata di minuti, in cui nessuno interviene. Il ragazzo si rialza, mentre il branco si allontana in sella ai motorini, e decide di recarsi lo stesso al lavoro. 

 

Se da un lato è evidente la matrice di discriminazione etnica dell’episodio, d’altro lato ci sembra semplicistico e poco utile bollare il tutto con l’unica chiave di lettura del razzismo. Pertanto raccontiamo solo oggi l’accaduto, a più di un mese di distanza, perché crediamo sia importante proporre alcune riflessioni più generali. 

 

Moustapha subisce un’aggressione che lo segna in modo profondo, come lui stesso sottolinea parlando con uno degli operatori: “Sai? Penso che questa data non potrò mai dimenticarla, succede sempre qualcosa di importante…!” (Moustapha si riferisce al suo arrivo in Italia, avvenuto esattamente 2 anni prima).

 

 

 

Moustapha: la sua storia, il suo lavoro

Moustapha sbarca a Napoli, il 28 agosto 2023, dalla nave Ocean Viking nel porto di Napoli, insieme ad altri 254 migranti, tra cui 37 minori stranieri non accompagnati. Preso in carico dal Servizio Minori Infanzia e Adolescenza del Comune di Napoli, è stato affidato alla Dedalus Cooperativa Sociale per iniziare un percorso di inclusione socio-educativa e culturale.

Dal primo giorno dopo lo sbarco, quando viene trasferito nel Centro di Pronta Accoglienza (Covid Centre dell’Ospedale del Mare), Moustapha cerca di procurarsi un libro di italiano. Vuole imparare la lingua. Da subito esprime il desiderio di frequentare la scuola, opportunità che non aveva avuto nel suo paese. Un investimento, accompagnato da una vivace intelligenza e disponibilità verso gli altri che in pochi mesi lo porta a completare i corsi di lingua, ottenendo la certificazione A2 e la licenza media. Mentre studia partecipa a laboratori teatrali e attività socializzanti, mostra curiosità, impegno e voglia di condividere. Prende anche parte ai Giochi Antirazzisti di Riace (Cosenza), simbolo di una società che può e deve essere inclusiva.

 

Nel 2024, grazie ai suoi rapidi progressi, intraprende un percorso formativo-lavorativo con l’obiettivo di diventare elettricista, mostrando particolare interesse per le energie rinnovabili, tema a cui si era interessato nei suoi studi per la terza media. Per tale ragione si iscrive all’Istituto Tecnico Leonardo da Vinci di Napoli, indirizzo elettrotecnico, dove durante il terzo anno inizia un tirocinio extracurriculare presso Tea Tek Group, dove sin da subito dimostra competenze e serietà, avviando un percorso concreto verso l’autonomia e l’inserimento lavorativo.

La TeaTek Group, azienda nata nel 2009 e attiva a livello internazionale nei settori dell’acqua, delle energie alternative e degli impianti industriali, è un’importante realtà del tessuto industriale campano ed ha recentemente assorbito circa 300 operai ex Whirlpool, salvandoli dalla cassa integrazione e dal licenziamento. 

Per il suo tirocinio, ogni mattina Moustapha deve fare un viaggio impegnativo, infatti per raggiungere il luogo di lavoro si alza alle 4, sistema la sua stanza e si reca verso la stazione centrale a piedi. Abita nei pressi di Piazza Nazionale ed il transito per andare a lavorare è obbligato: il viaggio in treno, con cui raggiunge San Felice a Cancello (CE), dura circa 50 minuti, a cui segue un percorso a piedi di quasi 2 km per raggiungere la TeaTek Group, dove comincia il turno alle 7.00.

 

 

Perché raccontiamo questa storia: rilanciare il welfare locale come unica possibilità di una convivenza giusta

 

Da oltre dieci anni Tea Tek e Dedalus collaborano nei percorsi di formazione e inserimento lavorativo rivolti a minori stranieri non accompagnati e donne vittime di tratta e violenza, condividendo l’impegno per il benessere dei lavoratori e della comunità.

È nel solco di questa collaborazione, che va oltre il solo tema dell’inserimento lavorativo, che insieme alla TeaTek abbiamo deciso di raccontare questa storia perché non è solo la vicenda di un ragazzo che ci sta a cuore, bensì è il riflesso di una crisi sociale più ampia, che agisce sui giovani – anche su quelli che hanno aggredito Moustapha -, sul lavoro, sul futuro della nostra società in termini di giustizia, inclusività e integrazione. I ragazzi e le ragazze, sempre meno al centro delle politiche, sono sempre più soli nell’affrontare il peso delle eredità negative che stiamo accumulando sulle loro spalle: crisi climatica; guerre sempre più diffuse; sistematici tagli alla scuola e all’educazione; smantellamento del sistema di welfare con un particolare accanimento sui servizi territoriali, di prossimità e prevenzione. 

Ancora, in una scuola sempre più orientata all’addestrare che all’educare – con buona pace di Don Milani – a prevalere sono le spinte alla competizione, al mettere davanti e al primo posto l’io piuttosto che il noi, favorendo così derive che portano i giovani a isolarsi, a vivere da soli e con fatica il proprio disagio, a atomizzarsi o al massimo a aggregarsi per similitudini contro altre, dove il rimarcare la propria identità passa spesso dal non riconoscimento, dal dominio o peggio ancora dalla sopraffazione delle altre differenti. In un forte cambiamento del senso comune dove l’altro, il differente diventa il nemico opportuno su cui scaricare la colpa – e il rancore – del proprio insuccesso, del proprio non riuscire a uscire dal margine.

E queste dinamiche perverse – mai come oggi attuali in una città come Napoli dove primi e ultimi, margini e centri sono sempre più distanti e separati – non trovano adeguati argini nel welfare locale, che in questi anni ha subito in modo pesante la scure del disinvestimento, prima di tutto politico e poi anche economico. Tutto ciò finisce per segnalare una sorta di resa da parte dello Stato che sembra aver rinunciato alla propria responsabilità di essere primo garante dell’esigibilità dei diritti di tutte le persone.

È una deriva che vediamo bene anche nel quartiere di Poggioreale dove operiamo prevalentemente con i nostri servizi e dove vivono molti dei ragazzi che seguiamo. Un quartiere che fino a qualche anno fa sembrava ben avviato verso un processo di rigenerazione e che oggi al contrario si trova a assistere a una costante contrazione degli spazi dedicati all’aggregazione, allo sport e alla cultura. Ne è un esempio tangibile il centro sportivo Palastadera, chiuso da anni e attualmente in stato di completo abbandono, nonostante la città di Napoli sia stata nominata capitale dello sport per il 2026. L’arretramento dello stato è ancor più evidente se si considera il deficit di servizi pubblici: un solo esempio quello dei trasporti, dove la linea del tram è stata fortemente limitata e le poche linee di autobus che servono la zona non sono in grado di rispondere ai fabbisogni degli studenti e dei lavoratori non automuniti, costringendoli a rivolgersi a mezzi alternativi, informali e spesso più pericolosi.

 

Non lasciare indietro nessuno è l’unica strada per arrivare tutte e tutti

 

L’aggressione nei confronti di Moustapha è solo l’ultima di una lunga serie, a testimonianza di un clima di tensione e conflitto che negli ultimi anni ha prodotto, come segnalato da più parti, diversi atti di violenza e discriminazione (piccoli furti, aggressioni, intimidazioni verbali) nei confronti dei nostri ragazzi che vivono il quartiere. 

Riteniamo che tali comportamenti siano riconducibili, da un lato, alla carenza di servizi e spazi in grado di contrastare l’isolamento sociale e di accogliere le difficoltà vissute dai giovani; dall’altro, a politiche pubbliche che non pongono il benessere giovanile tra le proprie priorità. Al contrario, queste politiche, spesso permeate da forme di razzismo istituzionale, tendono a legittimare atteggiamenti discriminatori e contribuiscono a diffondere la percezione che chi è “straniero e povero” non venga adeguatamente considerato dalle istituzioni.

Si configura così una disuguaglianza nel riconoscimento sociale che rende insopportabili tutte le altre forme di disparità, generando sentimenti di rancore, comportamenti violenti e situazioni di conflitto.

Siamo fermamente convinti che ogni episodio di aggressione rifletta una sottocultura giovanile tossica e violenta, alimentata da un clima ideologico che si diffonde rapidamente attraverso i linguaggi giovanili e i canali dell’informazione mainstream, e che si manifesta quotidianamente in episodi come quello che ha coinvolto Moustapha.

Quindi, scopo di questo nostro racconto non è tanto puntare il dito contro gli aggressori, ma denunciare una situazione che se non assunta come priorità delle politiche rischia di tradursi in dinamiche diffuse di conflitto sociale e di provocare un addensamento delle vulnerabilità e delle povertà difficilmente gestibile in una città già cosi complicata e affaticata come la nostra.

Dopo l’aggressione, Moustapha ha confidato di non voler più attraversare quella piazza per andare al lavoro.

Noi crediamo che se Moustapha sente di dover arretrare davanti alla violenza, allora arretriamo tutti come società. Per questo è fondamentale reagire, proteggere chi è più esposto, e ricostruire una rete di sicurezza sociale e dignità che non lasci indietro nessuno.

 

 

 

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