Stella Nera è un brano di Francesco Di Bella contenuto nell’album ‘O diavolo (pubblicato dall’etichetta La Canzonetta nel 2018),

La tratta di donne e minori a scopo di sfruttamento sessuale è un’attività delittuosa che consiste nel trasferire le vittime dal territorio di uno stato a quello di un altro stato, o in località diverse da quella di residenza, per avviarle alla prostituzione.

La legge punisce penalmente i responsabili di questo comportamento, prevedendo una pena detentiva compresa tra gli otto e i venti anni.

Il traffico di donne a scopo di sfruttamento sessuale è una forma di criminalità organizzata internazionale, in costante aumento, che permette di realizzare alti profitti con rischi poco elevati per i trafficanti.

Migliaia di donne provenienti dall’Africa o dall’Europa orientale sono coinvolte in questo traffico e ridotte in condizioni di violazione dei loro diritti umani fondamentali.

Solo una piccolissima parte di casi vengono denunciati, e le condanne dei trafficanti sono rare.

Più di un terzo delle donne straniere costrette a prostituirsi in Italia sono nigeriane.

Il “juju” è una forma di giuramento utilizzato nella tratta delle nigeriane per sottomettere le ragazze alla volontà del trafficante.

Il native doctor, una sorta di prete, mette in scena una cerimonia servendosi di alcuni feticci della ragazza (peli pubici, peli delle ascelle, unghie, sangue mestruale, indumenti intimi) per allestire riti voodoo contro di lei nel caso rompesse la promessa di non tradire mai il trafficante: tradire il giuramento juju significa andare incontro alla morte o la follia, della ragazza o dei suoi familiari.

Il 90% dei migranti arrivati in Europa negli ultimi anni è vittima dei trafficanti di esseri umani.

La maggior parte di loro sono ridotti in condizioni di vera e propria schiavitù per lo sfruttamento sessuale e lavorativo.

Nel mondo, le vittime di tratta sono tra i ventuno e i trentacinque milioni.

In Italia, il fenomeno della tratta riguarda dalle cinquanta alle settantamila donne costrette a prostituirsi.

Il giro d’affari complessivo supera i centocinquanta miliardi di dollari.

Il calvario delle vittime di tratta inizia già in Nigeria, un paio di anni prima dell’arrivo in Italia, quando vengono adescate dai trafficanti.

Nella maggior parte dei casi, le vittime sono analfabete, provengono da famiglie numerose e molto povere, facili da convincere con la prospettiva di un lavoro in Europa come babysitter o parrucchiera.

Molto spesso sono proprio i familiari a spingere la ragazza a prestare giuramento, attirati dall’idea dei soldi che la figlia potrà in Nigeria, una volta arrivata in Europa.

La cifra da pagare per il viaggio verso l’Italia arriva fino a ottantamila euro. Per far fronte a questa spesa, le ragazze contraggono un debito con i trafficanti, diventando a tutti gli effetti loro schiave.

Una volta arrivate in Italia, poi, vengono addebitate loro ulteriori spese per la casa, per il cibo, per il vestiario, addirittura per l’affitto del marciapiede.

In più, buona parte di ciò che guadagnano in strada, prostituendosi, viene sottratta loro direttamente dalla maman, la matrona, colei che avvia alla prostituzione le ragazze e che controlla quotidianamente il loro operato.

Lo sfruttamento sessuale delle vittime di tratta avviene nelle strade, negli appartamenti, nei centri benessere, nei locali notturni. Le donne vittime di tratta sono controllate dalle organizzazioni criminali attraverso meccanismi di coercizione psicologica che rendono sempre più difficile intraprendere un percorso di fuoriuscita dal sistema che le rende schiave.

Il condizionamento psicologico del rito juju è un lunghissimo guinzaglio, e vale più delle botte o delle intimidazioni. Oltre a questo, tre volte su quattro una donna giunta in Italia viene costretta a prostituirsi attraverso minacce e violenze fisiche e sessuali.

Dagli adescatori, in Nigeria, fino alle maman, che in Italia controllano e gestiscono direttamente le ragazze: un cappio di violenza e criminalità che si stringe attorno al collo delle vittime di tratta.

Le donne vittime di tratta soffrono di ansia, depressione, alienazione, disorientamento, aggressività, ostilità, ideazione suicidaria, deficit di attenzione e conseguenze psicofisiche di malattie sessualmente trasmissibili.

Prima ancora, portano i segni delle restrizioni sui bisogni fondamentali, come cibo, acqua e rifugio.

In più, non avendo i documenti in regola ed essendo sottoposte a un regime di rigidissimo controllo da parte delle maman, non hanno modo di accedere alle cure sanitarie, così come sono assolutamente tagliate fuori da qualsiasi percorso didattico e formativo.

La tratta di donne e minori a scopo di sfruttamento sessuale è un’attività delittuosa che consiste nel trasferire le vittime dal territorio di uno stato a quello di un altro stato, o in località diverse da quella di residenza, per avviarle alla prostituzione.
La legge punisce penalmente i responsabili di questo comportamento, prevedendo una pena detentiva compresa tra gli otto e i venti anni.

La tratta di esseri umani è un crimine che consiste nella compravendita e sfruttamento di esseri umani.

Attraverso l’inganno, la violenza o altre forme di coercizione psicologica, le vittime di tratta vengono introdotte irregolarmente in occidente. Qui, abusando della loro condizione di vulnerabilità, sono sottoposte a sfruttamento lavorativo o sessuale.

In molti casi le vittime sono donne, anche minorenni.

Secondo stime dell’ONU sono quattro milioni le persone trafficate ogni anno, di cui cinquecentomila sono destinati ai paesi dell’Unione Europea. Le organizzazioni criminali ricavano enormi profitti da tale commercio di persone, equiparabili a quelli derivanti dal traffico di armi e stupefacenti.

La riduzione di una persona in uno stato di schiavitù, il suo trasferimento indotto mediante inganno o costretto con la violenza o la minaccia, e, infine, il commercio della persona sfruttata sono i tre reati puniti rispettivamente dagli articoli 600, 601 e 602 del nostro Codice penale.

La tratta degli esseri umani genera un giro d’affari da centocinquanta miliardi di dollari all’anno.

Per pagare il debito contratto per il viaggio, le ragazze sono costrette a lavorare fino a dodici ore al giorno in strada, prendendo dai dieci ai venti euro a prestazione.

Generalmente, riescono a guadagnare dai trecento ai settecento euro al giorno.

Togliendo la parte sottratta dalla maman, le spese per vitto, alloggio e vestiario, l’affitto del marciapiede, nelle loro tasche finiscono solo pochi euro.

Non ha nessun fondamento morale l’idea di difendere la libertà sessuale di “andare a prostitute”.

La donna vittima di tratta che si prostituisce non è assolutamente libera, non ha alcuna possibilità di scelta, è un soggetto debole, spesso è minorenne, non è in grado di difendersi, non può reagire, è priva di documenti, è stata sradicata dal proprio paese, assoggettata con l’inganno e venduta.

La catena della violenza culmina con il cliente, che diventa egli stesso uno sfruttatore.

È proprio la domanda crescente di schiave del sesso, in Italia, ad alimentare il fenomeno della tratta e l’arrivo di giovani donne sulle nostre coste.

Partono da casa senza documenti, hanno solo il numero di telefono di una persona da cui ricevono indicazioni.

Passano il confine con il Niger di notte, poi la terribile traversata del deserto fino alla Libia. Qui vengono imprigionate, obbligate a prostituirsi nelle connection house, dove subiscono per anni ogni forma di tortura e violenza.

Prendono poi il mare a bordo di gommoni, alcune muoiono durante la traversata, altre vengono catturate dalla sedicente Guardia costiera libica e riportate nei centri di detenzione, dove subiscono stupri e nuove violenze.

Chi riesce ad arrivare in Italia, viene affidata a una maman, diventa sua schiava, le dovrà obbedienza fino a che non riuscirà a estinguere il debito per il viaggio.

Nell’immaginario delle donne, la migrazione è una grande possibilità di porre rimedio alla povertà e alle difficoltà a essa connesse, nonché l’occasione per trovare una forma di emancipazione da dinamiche familiari o di contesto spesso oppressive.

È su queste basi che avviene l’adescamento, nei villaggi e nelle città nigeriane, delle vittime di tratta, attraverso false promesse di una vita nuova e di un lavoro sicuro e onesto in Italia (come parrucchiera, baby sitter, commessa), l’illusorio inganno di poter migliorare facilmente la condizione economica e sociale propria e della famiglia, che potrà ricevere denaro dall’Italia.

Con il rito juju del giuramento e il debito per il viaggio, quindi, si stringe il cerchio che renderà schiava per sempre una donna.

Una volta arrivata in Italia, la donna deve ripagare il debito contratto con il trafficante per il viaggio. La cifra, in realtà, non corrisponde mai al reale costo della traversata.

Il sistema nigeriano si fonda proprio su questo meccanismo, definito “debt bondage”, ossia la restituzione di un debito di settanta/ottantamila euro: le donne portate in Italia con la promessa di un lavoro si ritrovano a dover rimborsare l’organizzazione che – ingannandole – ne ha favorito il viaggio.

Una ragazza nigeriana, così, per saldare il debito è costretta a subire un minimo di quattromila prestazioni sessuali.

Il juju è un antico rito di magia nera associata alla religione voodoo.

La ragazza è nuda, stesa ai piedi dell’altare. Offre peli pubici, sangue e indumenti intimi.

Lo stregone soffia una polvere di gesso sul suo corpo, poi le segna la fronte con la terra: così gli spiriti identificano la sua anima e potranno seguirla ovunque e per sempre.

Dovrà obbedire a tutto, non proverà mai a scappare, non tradirà mai chi la sta aiutando a partire, e ripagherà per intero il debito economico contratto per il viaggio.

Se verrà meno alla parola data, gli spiriti la puniranno con la morte o la follia.

©La Balena
Campagna di comunicazione realizzata da La Balena (www.labalenacomunica.it)
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